Il 3 settembre 1976 la sonda Viking 2, progettata dalla NASA, atterrava con successo su Marte nella regione di Utopia Planitia, diventando una delle missioni più significative dell’esplorazione spaziale. Ma ciò che spesso non si racconta è il ruolo fondamentale che l’informatica ebbe in questa impresa.
Viking 2 era composta da un orbiter e da un lander, capaci di operare in autonomia e comunicare indipendentemente con la Terra.
Un’impresa ingegneristica e informatica straordinaria per l’epoca: all’interno della sonda operavano due processori indipendenti, con una memoria di appena 4.096 word, che gestivano acquisizione dati, trasmissione radio, regolazione di traiettorie e controllo remoto.
La missione richiedeva software robusto, stabile e capace di operare in ambienti ostili, ben prima dell’esistenza del cloud o dei moderni sistemi di monitoraggio in tempo reale.
L’infrastruttura doveva sopravvivere per anni, con sistemi embedded che oggi definiremmo minimali, ma all’epoca erano avanguardia pura.
Viking 2 trasmise quasi 16.000 immagini e completò 706 orbite attorno a Marte. Il lander rimase attivo fino all’11 aprile 1980, fornendo dati fondamentali su atmosfera, superficie, e condizioni ambientali marziane.
Non sono gli unici elementi rimasti di Viking 2: l'orbiter, seppur non funzionante, orbita tuttora attorno a Marte.
Oltre lo spazio, un’eredità digitale
Viking 2 ha dimostrato che il successo tecnologico nasce dall’equilibrio tra hardware, software e visione. Oggi, mentre costruiamo infrastrutture digitali sempre più complesse sulla Terra, possiamo imparare molto da quei pionieri: dall’importanza dell’affidabilità, alla centralità dell’ingegneria del software.
Una missione su Marte. Un traguardo per l’umanità. Un monumento all’informatica.

